Come un palinsesto

Come un palinsesto

Noi siamo più della somma delle cose che facciamo, siamo il comune che ci circonda, noi siamo le relazioni che abbiamo costruito, i paesaggi che ci accompagnano, la conoscenza che si combina.

Nei monasteri medievali che ospitavano gli scriptoria i monaci addetti alla produzione dei manoscritti erano esonerati dalle preghiere della notte. Come in un palinsesto la giornata veniva riscritta sempre uguale a se stessa. Iniziava presto e terminava alle prime ombre della sera. I copisti, i miniatori, però, avevano bisogno della luce del sole e per tutto il giorno avevano il faticoso compito di scrivere e riscrivere sulle pelli trattate degli animali cui altri monaci badavano. Era una vita dura, confessata nelle sottoscrizioni vergate alla fine del lavoro di copiatura, ma almeno si risparmiavano il supplizio di alzarsi nel cuore della notte per pregare. Più in là nel tempo frati più facoltosi presero in uso la pratica di pagare frati poveri perché recitassero al loro posto le preghiere della notte, magari mentre loro, in preda ai sensi di colpa, si concedevano alle tentazioni del demonio.
I palinsesti di pergamena sono il sintomo della povertà materiale. I monasteri poveri riutilizzavano, infatti, le pelli già scritte e spesso il testo sovrascritto aveva minore valore, come contenuto, di quello sottoscritto. Allo stesso modo i palinsesti che di più conosciamo, quelli televisivi, sono il sintomo della povertà culturale. Ogni giorno si sovrappone a quello precedente senza soluzione di continuità, con pesature sempre uguali, studiate scientificamente. Le giornate che abbiamo, il tempo comune che é dato alle biografie contemporanee, scorrono così, reiterando l’uguale, riscrivendo compulsivamente un palinsesto nel quale i desideri e la conoscenza rimangono intrappolati dai direttori di rete in spazi confinati.
Questo progetto mortifero, però, presenta una crepa. Noi siamo più della somma delle cose che facciamo, siamo il comune che ci circonda, noi siamo le relazioni che abbiamo costruito, i paesaggi che ci accompagnano, la conoscenza che si combina. Questi possono insinuarsi nello spazio aperto dallo zapping detournante. La novità, l’inatteso, contenuto in questo “di più”, può, quindi, riscrivere il palinsesto quotidiano fuori dai canoni prestabiliti.
“Trovare una crepa” è la pratica dello scalare. Per i non arrampicatori una parete appare come un muro di roccia. Certo le rocce non sono tutte uguali, ma le pareti finiscono per assomigliarsi tutte perché se ne coglie la caratteristica comune della verticalità. Un arrampicatore, invece, nelle pareti vi scorge i diedri, le placche, le fessure, gli strapiombi, ne immagina le possibilità di salita. Le pareti sono fatte degli itinerari che vi sono stati tracciati. Nel tempo diventano un palinsesto perché al variare delle tecniche, delle tendenze, delle attrezzature, le vie di salita cambiano, si innovano, si intrecciano.
La falesia dei messinesi è sempre stata Castelmola. Cominciammo ad andarci tanti anni fa. Le prime vie le aprimmo salendole dal basso su una roccia che ci sembrava friabile. Poi ne attrezzammo alcune dall’alto ma con metodi tradizionali. Infine arrivò il tempo della chiodatura sportiva. Castelmola non è mai stata una palestra estrema, ma bella sì, però. Ci si arrampica d’inverno in pantaloncini e maglietta, nelle giornate di sole. Quella parete è proprietà di un privato. Ci abbiamo sempre dovuto combattere. Come per un palinsesto, come un tempo si grattavano la pergamene, adesso egli ha fatto smontare tutte le vie di salita, ne ha fatto togliere i chiodi a degli alpinisti mercenari. Come un palinsesto quella parete sarà riscritta. Con gesti nuovi, nuovi progetti. Magari col gusto di violare, nuovamente, la proprietà.

 

 

 

 

 

 

 

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