Un giorno ringrazieremo Agamben

Un giorno ringrazieremo Agamben

Un giorno ringrazieremo Agamben perché, solo, mentre tutti ci chiudevamo in casa atterriti, denunciava l’uso dell’emergenza come metodo di governo. Ha resistito. Ha resistito anche ai suoi errori, all’avere lasciato a volte la filosofia per addentrarsi in giudizi medici o statistici. Ha resistito quando gli abbiamo detto che sì, era un’emergenza, un’emergenza sanitaria. Ha resistito quando gli abbiamo detto che in fondo già da 20 anni si vive in regime d’emergenza. Ha avuto ragione, però, l’emergenza è diventata esercizio ordinario del governo.
Poi sono arrivati altri. Cacciari, Sabina Guzzanti, Fusaro, Santoro, Barbero. Tra i televisivi solo loro e pochi altri. Solo loro, tanto forti da poterselo permettere. Chiunque altro sarebbe stato tacciato di essere no-vax, che corrisponde più o meno ad essere coglione, ignorante, irresponsabile. E che paese è un paese in cui per potere porre delle domande senza essere esposto al pubblico ludibrio devi essere così forte, devi avere le spalle così larghe? Insomma, se il green pass è un modo surrettizio per disporre l’obbligo vaccinale (e questo ormai lo dicono tutti) definire no-vax chi critica il green pass è un modo surrettizio per estromettere quella persona dallo spazio pubblico di una discussione paritaria.
Eppure basterebbe rimettere le cose al loro posto perchè la discussione possa tornare ad essere democratica. Il vaccino è senz’altro un dispositivo medico. In quanto tale deve essere prescritto ed avere una legittimazione scientifica. Il green pass è un dispositivo normativo. Perchè mescolare le due cose? Si creano cortocircuiti irrazionali che sono giustificati solo dal desiderio di legittimare un governo sottoposto ad una logica emergenziale.
Se uno sta male, infatti, prende un farmaco. Oppure si cura con metodi naturali. Insomma questo appartiene alla sua scelta. Se invece le istituzioni dispongono un trattamento sanitario a persone che non stanno male (e che presumibilmente hanno poco da temere) ci vuole che un interesse collettivo più grande imponga questa scelta. Nel caso del vaccino bisognerebbe poter dimostrare che se vaccino mio figlio impedisco che lui infetti altri nel caso risultasse positivo e dimostrare, ulteriormente, che questa operazione serva a togliere di torno una minaccia per la società intera. Se questo, però, non è possibile (se, cioè, mio figlio pur vaccinato se positivo rimane infettivo) sulla base di cosa imporre un trattamento sanitario obbligatorio ad una persona sana? Si può dire che un vaccinato è meno infettivo. Forse sì, ma quanto? È possibile avere dati quantitativi che sfuggano al giudizio moralistico? Perchè senza questi si rimane nel campo dei pronunciamenti politici.
Rimane la questione della pressione sulle strutture ospedaliere. Ora, a parte che statisticamente questo riguarda prevalentemente persone in età avanzata (e quindi su quelle andrebbe fatta opera di convincimento), perchè non fare lo stesso discorso nei confronti di chi fuma, di chi fa le scalate o di chi mangia male?
Detto tutto questo, come si fa a non pensare al green pass come a uno strumento di carattare mercantile, governamentale, utile, nella sostanza, a imporre surrettiziamente un obbligo vaccinale che manterrà il numero di morti in un range accettabile per una società che torna ad essere esattamente quella di prima? Solo con una compromissione strutturale della vita democratica e senza domandarsi degli effetti a lungo termine di un trattamento sanitario di cui una parte della società forse non necessitava.

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